Nasce a Montevago il 26-3-1887. Abbiamo visto, parlando, in
altra sede, del fratello Giovanni, come le vicende scolastiche dei due fratelli
avessero seguito lo stesso iter, almeno sino alla soglia dell'università,
momento in cui si dividono. Peppino infatti si iscrive alla facoltà di
Giurisprudenza di Palermo, uscendone laureato. A questo proposito, mi piace
ricordare come il suo nome, campeggi ancor oggi, in una delle due lapidi
bronzee affisse alle colonne del portico dell'università centrale di Palermo, a
ricordo di tutti gli studenti dell'ateneo caduti nella guerra 1915-1918.
Di aspetto aitante e gradevole, cosi come ci appare dalle pochissime foto in
nostro possesso, era dotato di una forte carica di simpatia e di interesse per
tutto ciò che lo portava a contatto con la gente, di cui cercava di conoscere e
studiare i problemi. Appassionato di caccia, era dotato di una mira stupenda,
almeno a detta di coloro che gli furono compagni di battuta. Partecipò
attivamente alla formazione e vita di numerose società sportive che in quegli
anni sorsero tanto in paese e nel circondario, che a Palermo. Dopo la laurea,
ritornò a Montevago, dove svolgendo il praticandato legale presso lo studio
dello zio, Avv. Antonino Di Maria, faceva politica, distinguendosi per acume e
capacità dialettica.. Scoppiata la guerra contro 1'Austria-Ungheria del 15-18,
avrebbe dovuto far parte, da ufficiale, della Milizia Territoriale, e quindi
essere inquadrato in reparti di presidio del territorio metropolitano (retrovie
e territorio lontano dal fronte), ma poteva un entusiasta come Peppino,
restarsene a fare il territoriale, quando i suoi 4 fratelli erano già tutti
ufficiali al fronte ed in prima linea? Ottenne quindi, sul finire del 15, il
trasferimento e l'incorporazione come Allievo Ufficiale al 10 bersaglieri di
stanza a Palermo, i cui effettivi avrebbero dovuto di li a poco essere inviati
al fronte.
Episodio divertente, di questo periodo, tramandato nella memoria
dei fratelli, fu il seguente: giunto al reggimento per
l'indispensabile addestramento, gli venne affidata il primo giorno una ramazza,
con l'ordine di spazzare il cortile !! Ordine
normale per una burba ai primi giorni, ma intollerabile per chi voleva
letteralmente fiondarsi in prima linea, per cui vivissime proteste del nostro
che buttata l'odiata ramazza, dichiarava fieramente « Io son venuto per
combattere, non per perdere tempo a ripulire caserme »; morale dell'episodio un
soggiorno di un paio di giorni in cella di rigore. Considerato come fesso non
fosse, mangiò foglia ed albero in unica soluzione, adeguandosi, pur di
raggiungere lo scopo, alla disciplina. In breve, divenuto sottotenente fu
inviato a Bologna, e da lì, esaurito il servizio di prima nomina, assegnato al
48 fanteria ed inviato in prima linea. Così, in una lettera inviata nel Gennaio
del 1916 alla madre, (lettera salvata e trascritta da mia zia Antonietta);
«Finalmente il vostro quinto figlio corre al suo posto di dovere, di fronte al
nemico, serenamente per la giustizia e la civiltà, per la resurrezione e
l'avvenire luminoso d'Italia. Viva l'Italia. Vostro Peppe».
Assegnato ai Reparti Scudati, (Arditi), fu inviato in una delle zone più
roventi del fronte, il Monte San Michele. Autentica anticamera dell'inferno
quel monte, sulle cui pendici aperte, feroci e violentissimi attacchi e
contrattacchi delle due parti avevano letteralmente arrossato di sangue il
terreno, su cui i nostri fanti bersaglieri scrissero pagine eroiche ed indimenticabili.
Fu sul San Michele, che, sulla tristemente famosa Cima Quattro, ottenne la sua
prima Medaglia (di bronzo) al Valore con la seguente motivazione; — «
Comandante di una squadra di reparto scudato, incaricato di disporre cavalli di
frisia davanti alla cunetta di una trincea, trovatosi di fronte ad un nucleo
nemico apparso di sorpresa, con esemplare sangue freddo, spianò il primo fucile
che gli venne alla mano, uccidendo due avversari, di poi ripiegò per ultimo,
quando correva il rischiaci essere fatto prigioniero» San Michele 5 - aprile -
1916.
L'episodio, oltre alla decorazione, gli fruttò da parte dei commilitoni,
1'affettuoso titolo di «Eroe di Cima Quattro».
Accettò di buon grado il titolo, ma raramente indossò la decorazione,
sostenendo di essere andato a combattere «non per una ricompensa ma per un
IDEA». Un altro episodio che ci mostra quanto fosse vicino ai suoi soldati, e
lontano dal fascino delle gerarchie militari, che pur ne ammiravano
l'indiscusso coraggio, fu il seguente; in previsione di un contrattacco,
comandato della ricognizione di un camminamento scoperto
svolgentesi fra un gruppo di trincee, eseguì integralmente
l’ammissione sotto il tambureggiante fuoco nemico, ritornando imperturbabile
alla base, da un cui osservatorio il generale comandante aveva osservato la
manovra. All'invito del superiore, ammirato dal sangue freddo dimostrato, a
trattenersi a colazione con lui, rispose secco secco di non poter accettare
perché d'abitudine mangiava sempre con i suoi soldati.
A metà del 1917, nel quadro della costituzione in seno all'Armata dei primi
REPARTI AUTOBLINDOMITRAGLIATORI, ottenne, su richiesta e su segnalazione dello
stesso Comando, di essere assegnato ad un unità. Viene cosi assegnato alla
Settima Squadriglia. Da questo momento si perdono in un certo senso le tracce
di Peppino, considerato l'andamento estremamente mobile ed a volte caotico del
fronte, in quel finire del secondo anno di guerra che culminerà nella
disastrosa tragedia di Caporetto, del novembre 1917.
All'incirca attorno ai primi di Novembre, dall'Ufficio Notizie dei militari,
giunge a mio padre, allora istruttore di tiro a Brescia, una cartolina che da
Peppino come Disperso in combattimento.
Questa la motivazione della MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE che gli venne
assegnata: « Comandante di automitragliatrice posta a difesa di un abitato,
teneva testa al nemico per tre ore, lottando strenuamente per quanto
circondato. Mentre per ordine ricevuto, si ritirava combattendo, ebbe la
macchina colpita in pieno da due granate nemiche, e cadde da prode, mortalmente
ferito coi suoi mitraglieri » . Polcenigo 6-novembre 1917. Pochi mesi dopo,
tanto mio zio Giovanni, che mio padre, visitarono la tomba del fratello, e dei
suoi soldati, che trovarono letteralmente ricoperta da fiori portati li dagli
abitanti della cittadina. Anche mia zia Antonietta, anni dopo, trovandosi in
Veneto per vacanza con i figli, cercò quel piccolo cimitero di guerra, non
riuscendo purtroppo a trovarlo essendosi perse negli anni le carte del comune
relative all'ubicazione precisa. Come già detto, mia nonna Margherita non volle
che la salma fosse traslata in Sicilia, e fu, credo, una decisione sofferta ma
giusta.