"Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l'ignoranza in cui l'avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi, Signori, davanti ad una Donna.
E non bastasse questo, inchinatevi ogni volta che vi guarda l'anima, perché Lei la sa vedere, perché Lei sa farla cantare.
In piedi, Signori, ogni volta che vi accarezza una mano, ogni volta che vi asciuga le lacrime come foste i suoi figli, e quando vi aspetta, anche se Lei vorrebbe correre.
In piedi, sempre in piedi, miei Signori, quando entra nella stanza e suona l'amore
e quando vi nasconde il dolore e la solitudine e il bisogno terribile di essere amata.
Non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla quando Lei crolla sotto il peso del mondo. Non ha bisogno della vostra compassione.
Ha bisogno che voi vi sediate in terra vicino a Lei e che aspettiate che il cuore calmi il battito, che la paura scompaia, che tutto il mondo riprenda a girare tranquillo.
E sarà sempre Lei ad alzarsi per prima e a darvi la mano per tirarvi su in modo da avvicinarvi al cielo, in quel cielo alto dove la sua anima vive e da dove, Signori, non la strapperete mai."
giovedì 16 marzo 2017
INNO DEL CARRO “FACCIAMOCI UN SELFIE”
Siamo tutti pronti ad aspettar la serata sta per iniziar,
idda è Simona Ventura alta, bona e donna matura.
E' na bedda fimmina di qualità, voglio a Montevago
il mio programma presentar. Sta sira un beddu selfie n' amu a fà
lei ti cambierà la vita, lei ti stupira facemuni stu selfie a Carnevà.
(RIT) Fatti un selfie insieme a
me c'è Simona qui per te,
vuoi cambiare la tua vitaquesta sera a Carnevà.
Fatti un selfie con chi vuoi, forza balla insieme a noi
se il tuo aspetto vuoi cambiare, con Simona lo puoi fà.
Fatti un selfie insieme a me c'è Simona qui per te
tira fuori il cellulare la tua vita puoi cambià.
Fatti un selfie con chi vuoi, forza balla insieme a noi
se stasera vuoi cambiare fatti un selfie e un ci pinsà.
Ora chi si pronta a visità la puntata in onda tornerà,
la richiesta è accettata tu verrai trasformata
ma sta bedda festa puoi lancià.
(RIT) Fatti un selfie insieme a
mec'è Simona qui per te,
puoi cambiare la tua vita questa sera a Carnevà.
Fatti un selfie con chi vuoi, forza balla insieme a noi
se il tuo aspetto vuoi cambiarecon Simona lo puoi fà.
Fatti un selfie insieme a mec'è Simona qui per te,
tira fuori il cellulare la tua vita puoi cambià.
Fatti un selfie con chi vuoi, forza balla insieme a noi
se stasera vuoi cambià fatti un selfie e un ci pensà (X2)
INNO DEL CARRO "VIVERE A COLORI"
Tu
con gli occhi un pò scolpitiguardi
il mondo intorno a tema
cos'è che ti sorprendela
natura splende sempre.Blu
il mare all'orizzonte,giallo
il sole brillerà,rosso
il cuore palpitantebatte
di felicità.
(RIT)
Vivere !!vivere
a colorila
tua vita e poi sorriderevivere
ogni giornoporta
l'allegria,cancella
la malinconia.Vivere!!vivere
a coloricome
quando tra le nuvoleun
arcobaleno posta la sua scia,come
se fosse per magia (magia).
Se
qualcuno l'ha oscurataquesta
splendida realtà,verde
come la speranza,vince
sull'oscuritàna
farfalla spicca il volole
sue ali mostreràpunta
dritta verso il cielo.I
colori fonderà.Vivere!!vivere
a colorila
tua vita e poi sorriderevivere
ogni giornoporta
l'allegria,cancella
la malinconia.Vivere!!vivere
a coloricome
quando tra le nuvoleun
arcobaleno posta la sua scia(X2)
come se fosse per magia (magia).
Il più bel Carnevale della Valle del Belice
Il Carnevale di Montevago,
come tutti ci aspettavamo, è andato alla grande. Quattro giorni di
colore, sfilate di carri allegorici, gruppi mascherati e carnevale
dei bambini con musica, giochi di gruppo, zucchero filato e artisti
di strada. Giornate piene di iniziative, ricche di appuntamenti con
il divertimento, per coinvolgere le famiglie, grandi e piccini, nella
festa più colorata dell’anno. In questa XXIX edizione sono stati
realizzati due carri, il primo “Vivere a colori” progettato e
costruito dall’Associazione montevaghese “LA SMANIA ADDOSSO”,
ed il secondo “FACCIAMOCI UN SELFIE” creato dall’Associazione
di Santa Margherita del Belice “ROYAL DANCE”. Alle associazioni
culturali che hanno allestito i carri allegorici e che hanno
partecipato regolarmente alle sfilate, a manifestazione conclusa, è
stato riconosciuto un premio bonus in relazione alla classifica che è
stata redatta dalla Giuria.
La premiazione del carro allegorico è avvenuta attraverso l’esame dell’architettura, modellazione e decorazione, dall’illuminazione, dai movimenti, dall’allegorica, dal copione, dall’inno, dai costumi e dalla coreografia del gruppo mascherato. L’apertura delle buste contenenti i giudizi espressi dagli esperti sono stati resi noti domenica 5 Marzo. La Giuria ha premiato il carro “VIVERE A COLORI” realizzato dai montevaghesi. Il carro dei vincenti si ispirava alla bellezza della vita, al fatto che essa deve essere vissuta con leggerezza, con amore e allegria, proprio “a colori”. L’Associazione d Santa Margherita ha realizzato un carro che fa riferimento al programma trasmesso, in un passato recente, su Canale 5 e condotta da Simona Ventura.
La premiazione del carro allegorico è avvenuta attraverso l’esame dell’architettura, modellazione e decorazione, dall’illuminazione, dai movimenti, dall’allegorica, dal copione, dall’inno, dai costumi e dalla coreografia del gruppo mascherato. L’apertura delle buste contenenti i giudizi espressi dagli esperti sono stati resi noti domenica 5 Marzo. La Giuria ha premiato il carro “VIVERE A COLORI” realizzato dai montevaghesi. Il carro dei vincenti si ispirava alla bellezza della vita, al fatto che essa deve essere vissuta con leggerezza, con amore e allegria, proprio “a colori”. L’Associazione d Santa Margherita ha realizzato un carro che fa riferimento al programma trasmesso, in un passato recente, su Canale 5 e condotta da Simona Ventura.
mercoledì 8 marzo 2017
Giuseppe Maria Carmelo Giuffrida
Nasce a Montevago il 26-3-1887. Abbiamo visto, parlando, in
altra sede, del fratello Giovanni, come le vicende scolastiche dei due fratelli
avessero seguito lo stesso iter, almeno sino alla soglia dell'università,
momento in cui si dividono. Peppino infatti si iscrive alla facoltà di
Giurisprudenza di Palermo, uscendone laureato. A questo proposito, mi piace
ricordare come il suo nome, campeggi ancor oggi, in una delle due lapidi
bronzee affisse alle colonne del portico dell'università centrale di Palermo, a
ricordo di tutti gli studenti dell'ateneo caduti nella guerra 1915-1918.
Di aspetto aitante e gradevole, cosi come ci appare dalle pochissime foto in nostro possesso, era dotato di una forte carica di simpatia e di interesse per tutto ciò che lo portava a contatto con la gente, di cui cercava di conoscere e studiare i problemi. Appassionato di caccia, era dotato di una mira stupenda, almeno a detta di coloro che gli furono compagni di battuta. Partecipò attivamente alla formazione e vita di numerose società sportive che in quegli anni sorsero tanto in paese e nel circondario, che a Palermo. Dopo la laurea, ritornò a Montevago, dove svolgendo il praticandato legale presso lo studio dello zio, Avv. Antonino Di Maria, faceva politica, distinguendosi per acume e capacità dialettica.. Scoppiata la guerra contro 1'Austria-Ungheria del 15-18, avrebbe dovuto far parte, da ufficiale, della Milizia Territoriale, e quindi essere inquadrato in reparti di presidio del territorio metropolitano (retrovie e territorio lontano dal fronte), ma poteva un entusiasta come Peppino, restarsene a fare il territoriale, quando i suoi 4 fratelli erano già tutti ufficiali al fronte ed in prima linea? Ottenne quindi, sul finire del 15, il trasferimento e l'incorporazione come Allievo Ufficiale al 10 bersaglieri di stanza a Palermo, i cui effettivi avrebbero dovuto di li a poco essere inviati al fronte.
Episodio divertente, di questo periodo, tramandato nella memoria dei fratelli, fu il seguente: giunto al reggimento per l'indispensabile addestramento, gli venne affidata il primo giorno una ramazza, con l'ordine di spazzare il cortile !! Ordine normale per una burba ai primi giorni, ma intollerabile per chi voleva letteralmente fiondarsi in prima linea, per cui vivissime proteste del nostro che buttata l'odiata ramazza, dichiarava fieramente « Io son venuto per combattere, non per perdere tempo a ripulire caserme »; morale dell'episodio un soggiorno di un paio di giorni in cella di rigore. Considerato come fesso non fosse, mangiò foglia ed albero in unica soluzione, adeguandosi, pur di raggiungere lo scopo, alla disciplina. In breve, divenuto sottotenente fu inviato a Bologna, e da lì, esaurito il servizio di prima nomina, assegnato al 48 fanteria ed inviato in prima linea. Così, in una lettera inviata nel Gennaio del 1916 alla madre, (lettera salvata e trascritta da mia zia Antonietta); «Finalmente il vostro quinto figlio corre al suo posto di dovere, di fronte al nemico, serenamente per la giustizia e la civiltà, per la resurrezione e l'avvenire luminoso d'Italia. Viva l'Italia. Vostro Peppe».
Assegnato ai Reparti Scudati, (Arditi), fu inviato in una delle zone più roventi del fronte, il Monte San Michele. Autentica anticamera dell'inferno quel monte, sulle cui pendici aperte, feroci e violentissimi attacchi e contrattacchi delle due parti avevano letteralmente arrossato di sangue il terreno, su cui i nostri fanti bersaglieri scrissero pagine eroiche ed indimenticabili. Fu sul San Michele, che, sulla tristemente famosa Cima Quattro, ottenne la sua prima Medaglia (di bronzo) al Valore con la seguente motivazione; — « Comandante di una squadra di reparto scudato, incaricato di disporre cavalli di frisia davanti alla cunetta di una trincea, trovatosi di fronte ad un nucleo nemico apparso di sorpresa, con esemplare sangue freddo, spianò il primo fucile che gli venne alla mano, uccidendo due avversari, di poi ripiegò per ultimo, quando correva il rischiaci essere fatto prigioniero» San Michele 5 - aprile - 1916.
L'episodio, oltre alla decorazione, gli fruttò da parte dei commilitoni, 1'affettuoso titolo di «Eroe di Cima Quattro».
Accettò di buon grado il titolo, ma raramente indossò la decorazione, sostenendo di essere andato a combattere «non per una ricompensa ma per un IDEA». Un altro episodio che ci mostra quanto fosse vicino ai suoi soldati, e lontano dal fascino delle gerarchie militari, che pur ne ammiravano l'indiscusso coraggio, fu il seguente; in previsione di un contrattacco, comandato della ricognizione di un camminamento scoperto svolgentesi fra un gruppo di trincee, eseguì integralmente l’ammissione sotto il tambureggiante fuoco nemico, ritornando imperturbabile alla base, da un cui osservatorio il generale comandante aveva osservato la manovra. All'invito del superiore, ammirato dal sangue freddo dimostrato, a trattenersi a colazione con lui, rispose secco secco di non poter accettare perché d'abitudine mangiava sempre con i suoi soldati.
A metà del 1917, nel quadro della costituzione in seno all'Armata dei primi REPARTI AUTOBLINDOMITRAGLIATORI, ottenne, su richiesta e su segnalazione dello stesso Comando, di essere assegnato ad un unità. Viene cosi assegnato alla Settima Squadriglia. Da questo momento si perdono in un certo senso le tracce di Peppino, considerato l'andamento estremamente mobile ed a volte caotico del fronte, in quel finire del secondo anno di guerra che culminerà nella disastrosa tragedia di Caporetto, del novembre 1917.
All'incirca attorno ai primi di Novembre, dall'Ufficio Notizie dei militari, giunge a mio padre, allora istruttore di tiro a Brescia, una cartolina che da Peppino come Disperso in combattimento.
Questa la motivazione della MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE che gli venne assegnata: « Comandante di automitragliatrice posta a difesa di un abitato, teneva testa al nemico per tre ore, lottando strenuamente per quanto circondato. Mentre per ordine ricevuto, si ritirava combattendo, ebbe la macchina colpita in pieno da due granate nemiche, e cadde da prode, mortalmente ferito coi suoi mitraglieri » . Polcenigo 6-novembre 1917. Pochi mesi dopo, tanto mio zio Giovanni, che mio padre, visitarono la tomba del fratello, e dei suoi soldati, che trovarono letteralmente ricoperta da fiori portati li dagli abitanti della cittadina. Anche mia zia Antonietta, anni dopo, trovandosi in Veneto per vacanza con i figli, cercò quel piccolo cimitero di guerra, non riuscendo purtroppo a trovarlo essendosi perse negli anni le carte del comune relative all'ubicazione precisa. Come già detto, mia nonna Margherita non volle che la salma fosse traslata in Sicilia, e fu, credo, una decisione sofferta ma giusta.
Di aspetto aitante e gradevole, cosi come ci appare dalle pochissime foto in nostro possesso, era dotato di una forte carica di simpatia e di interesse per tutto ciò che lo portava a contatto con la gente, di cui cercava di conoscere e studiare i problemi. Appassionato di caccia, era dotato di una mira stupenda, almeno a detta di coloro che gli furono compagni di battuta. Partecipò attivamente alla formazione e vita di numerose società sportive che in quegli anni sorsero tanto in paese e nel circondario, che a Palermo. Dopo la laurea, ritornò a Montevago, dove svolgendo il praticandato legale presso lo studio dello zio, Avv. Antonino Di Maria, faceva politica, distinguendosi per acume e capacità dialettica.. Scoppiata la guerra contro 1'Austria-Ungheria del 15-18, avrebbe dovuto far parte, da ufficiale, della Milizia Territoriale, e quindi essere inquadrato in reparti di presidio del territorio metropolitano (retrovie e territorio lontano dal fronte), ma poteva un entusiasta come Peppino, restarsene a fare il territoriale, quando i suoi 4 fratelli erano già tutti ufficiali al fronte ed in prima linea? Ottenne quindi, sul finire del 15, il trasferimento e l'incorporazione come Allievo Ufficiale al 10 bersaglieri di stanza a Palermo, i cui effettivi avrebbero dovuto di li a poco essere inviati al fronte.
Episodio divertente, di questo periodo, tramandato nella memoria dei fratelli, fu il seguente: giunto al reggimento per l'indispensabile addestramento, gli venne affidata il primo giorno una ramazza, con l'ordine di spazzare il cortile !! Ordine normale per una burba ai primi giorni, ma intollerabile per chi voleva letteralmente fiondarsi in prima linea, per cui vivissime proteste del nostro che buttata l'odiata ramazza, dichiarava fieramente « Io son venuto per combattere, non per perdere tempo a ripulire caserme »; morale dell'episodio un soggiorno di un paio di giorni in cella di rigore. Considerato come fesso non fosse, mangiò foglia ed albero in unica soluzione, adeguandosi, pur di raggiungere lo scopo, alla disciplina. In breve, divenuto sottotenente fu inviato a Bologna, e da lì, esaurito il servizio di prima nomina, assegnato al 48 fanteria ed inviato in prima linea. Così, in una lettera inviata nel Gennaio del 1916 alla madre, (lettera salvata e trascritta da mia zia Antonietta); «Finalmente il vostro quinto figlio corre al suo posto di dovere, di fronte al nemico, serenamente per la giustizia e la civiltà, per la resurrezione e l'avvenire luminoso d'Italia. Viva l'Italia. Vostro Peppe».
Assegnato ai Reparti Scudati, (Arditi), fu inviato in una delle zone più roventi del fronte, il Monte San Michele. Autentica anticamera dell'inferno quel monte, sulle cui pendici aperte, feroci e violentissimi attacchi e contrattacchi delle due parti avevano letteralmente arrossato di sangue il terreno, su cui i nostri fanti bersaglieri scrissero pagine eroiche ed indimenticabili. Fu sul San Michele, che, sulla tristemente famosa Cima Quattro, ottenne la sua prima Medaglia (di bronzo) al Valore con la seguente motivazione; — « Comandante di una squadra di reparto scudato, incaricato di disporre cavalli di frisia davanti alla cunetta di una trincea, trovatosi di fronte ad un nucleo nemico apparso di sorpresa, con esemplare sangue freddo, spianò il primo fucile che gli venne alla mano, uccidendo due avversari, di poi ripiegò per ultimo, quando correva il rischiaci essere fatto prigioniero» San Michele 5 - aprile - 1916.
L'episodio, oltre alla decorazione, gli fruttò da parte dei commilitoni, 1'affettuoso titolo di «Eroe di Cima Quattro».
Accettò di buon grado il titolo, ma raramente indossò la decorazione, sostenendo di essere andato a combattere «non per una ricompensa ma per un IDEA». Un altro episodio che ci mostra quanto fosse vicino ai suoi soldati, e lontano dal fascino delle gerarchie militari, che pur ne ammiravano l'indiscusso coraggio, fu il seguente; in previsione di un contrattacco, comandato della ricognizione di un camminamento scoperto svolgentesi fra un gruppo di trincee, eseguì integralmente l’ammissione sotto il tambureggiante fuoco nemico, ritornando imperturbabile alla base, da un cui osservatorio il generale comandante aveva osservato la manovra. All'invito del superiore, ammirato dal sangue freddo dimostrato, a trattenersi a colazione con lui, rispose secco secco di non poter accettare perché d'abitudine mangiava sempre con i suoi soldati.
A metà del 1917, nel quadro della costituzione in seno all'Armata dei primi REPARTI AUTOBLINDOMITRAGLIATORI, ottenne, su richiesta e su segnalazione dello stesso Comando, di essere assegnato ad un unità. Viene cosi assegnato alla Settima Squadriglia. Da questo momento si perdono in un certo senso le tracce di Peppino, considerato l'andamento estremamente mobile ed a volte caotico del fronte, in quel finire del secondo anno di guerra che culminerà nella disastrosa tragedia di Caporetto, del novembre 1917.
All'incirca attorno ai primi di Novembre, dall'Ufficio Notizie dei militari, giunge a mio padre, allora istruttore di tiro a Brescia, una cartolina che da Peppino come Disperso in combattimento.
Questa la motivazione della MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE che gli venne assegnata: « Comandante di automitragliatrice posta a difesa di un abitato, teneva testa al nemico per tre ore, lottando strenuamente per quanto circondato. Mentre per ordine ricevuto, si ritirava combattendo, ebbe la macchina colpita in pieno da due granate nemiche, e cadde da prode, mortalmente ferito coi suoi mitraglieri » . Polcenigo 6-novembre 1917. Pochi mesi dopo, tanto mio zio Giovanni, che mio padre, visitarono la tomba del fratello, e dei suoi soldati, che trovarono letteralmente ricoperta da fiori portati li dagli abitanti della cittadina. Anche mia zia Antonietta, anni dopo, trovandosi in Veneto per vacanza con i figli, cercò quel piccolo cimitero di guerra, non riuscendo purtroppo a trovarlo essendosi perse negli anni le carte del comune relative all'ubicazione precisa. Come già detto, mia nonna Margherita non volle che la salma fosse traslata in Sicilia, e fu, credo, una decisione sofferta ma giusta.
La leggenda del “masso” e la nascita del Santuario della Madonna delle Grazie
La memoria storica di Montevago è legata al Santuario della
Madonna delle Grazie e all’annesso convento di San Francesco di cui si
conservano nell’Archivio di Stato di Agrigento 13 registri amministrativi
relativi al periodo che va dal 1839 al 1866, anno della soppressione. La chiesa
fu edificata nel 1778 intorno ad un masso su cui era dipinta l’immagine della
Madonna, opera di un autore ignoto. Ancora oggi non si sa la data esatta
dell’origine del dipinto della Madonna. Alcuni opinano che il quadro, sia stato
realizzato attorno al 1800, cioè dopo la
costruzione della chiesetta. Nel 1934, durante i restauri della chiesa, in
preparazione della solenne Incoronazione, è stata trovata sotto il masso,
scrostando il muro una “larga apertura” (cm 80x70) con diverse macchie d’olio.
Alcuni studiosi, considerando lo stile, la freschezza dei colori in nessun modo
alterati, hanno affermato che il dipinto risale alle stessa età in cui ebbe
origine il paese: la prima metà del secolo XVII. Non mancano tuttavia coloro che pongono la data della composizione
del quadro ad epoche anteriori. Tra questi il Generale Carmelo Giuffrida, il
quale in un suo articolo pubblicato su L’Araldo
, parlando del dipinto su pietra, affermava che lo stile ci riportava a
un’epoca assai antica, addirittura attorno all’anno 600.
Il Giuffrida sosteneva inoltre che il quadro in oggetto, durante la lotta iconoclasta sia stato nascosto nel “fossu di lu picuraro” località che dista dal Santuario appena 200 metri. In seguito, da quel fosso ricomparve , la bella immagine di Maria sul masso come fiore sbocciato dalla madre terra come squarcio di Paradiso. Il dipinto di metri 1,57 x 1,15 trovato da due poveri contadini in un bel mattino di Maggio, venne posto su due buoi, seguiti da molta gente. Gli animali ad un certo punto si fermarono e, malgrado gli incitamenti, non fu possibile farli andare oltre. Alla notizia accorse altra gente che decise di innalzare sul sito una chiesa. Promotore della costruzione della suddetta chiesa fu il sacerdote don Benedetto Catalano Molinari, originario di Montevago che volle dedicare la chiesa alla Madonna delle Grazie.
La chiesa, sorta alla distanza di 800 metri dalla vecchia Montevago, nel 1845 fu decorata con stucchi da frate Francesco La Rocca, un francescano conventuale di Gibellina. Il Santuario, conosciutissimo in tutte le zone, sorse a pianta centrale; oltre l’altare maggiore vi erano altri altari dedicati: uno a San Francesco d’Assisi, uno a S. Antonio di Padova e uno alla Madonna regina della pace. Nel XIX secolo accanto alla chiesa venne edificato il convento di S. Francesco. Il culto della Madonna delle Grazie viene celebrato il 2 luglio di ogni anno. In tale giorno è una scena commovente vedere intorno al sacro masso che porta la preziosa effigie di Maria SS. I devoti provenienti anche da Santa Margherita di Belìce a piedi scalzi,con ceri e torce. La festa della Madonna è molto sentita anche dai Montevaghesi emigrati all’estero.
Il Giuffrida sosteneva inoltre che il quadro in oggetto, durante la lotta iconoclasta sia stato nascosto nel “fossu di lu picuraro” località che dista dal Santuario appena 200 metri. In seguito, da quel fosso ricomparve , la bella immagine di Maria sul masso come fiore sbocciato dalla madre terra come squarcio di Paradiso. Il dipinto di metri 1,57 x 1,15 trovato da due poveri contadini in un bel mattino di Maggio, venne posto su due buoi, seguiti da molta gente. Gli animali ad un certo punto si fermarono e, malgrado gli incitamenti, non fu possibile farli andare oltre. Alla notizia accorse altra gente che decise di innalzare sul sito una chiesa. Promotore della costruzione della suddetta chiesa fu il sacerdote don Benedetto Catalano Molinari, originario di Montevago che volle dedicare la chiesa alla Madonna delle Grazie.
La chiesa, sorta alla distanza di 800 metri dalla vecchia Montevago, nel 1845 fu decorata con stucchi da frate Francesco La Rocca, un francescano conventuale di Gibellina. Il Santuario, conosciutissimo in tutte le zone, sorse a pianta centrale; oltre l’altare maggiore vi erano altri altari dedicati: uno a San Francesco d’Assisi, uno a S. Antonio di Padova e uno alla Madonna regina della pace. Nel XIX secolo accanto alla chiesa venne edificato il convento di S. Francesco. Il culto della Madonna delle Grazie viene celebrato il 2 luglio di ogni anno. In tale giorno è una scena commovente vedere intorno al sacro masso che porta la preziosa effigie di Maria SS. I devoti provenienti anche da Santa Margherita di Belìce a piedi scalzi,con ceri e torce. La festa della Madonna è molto sentita anche dai Montevaghesi emigrati all’estero.
Rosangela
Giambalvo
Angela Leggio
Vanessa Casella
Domenico Pio Marzitelli
Antonino Di Gregorio
Noi Donne
Oggi è la
giornata della donna, il cui simbolo è la mimosa. La mimosa venne scelta non
solo perché economica, ma soprattutto perché è l'unico fiore che sboccia a
Marzo e, nonostante la sua apparente fragilità, riesce a crescere anche su
terreni difficili.
L'iniziativa di celebrare la giornata internazionale
della donna fu presa per la prima volta nel febbraio del 1909 negli Stati
Uniti. In realtà fino al 1921 i singoli Paesi scelsero giorni diversi per la
celebrazione. Fu a Mosca, durante la seconda conferenza delle donne comuniste,
che venne confermata come unica data per le celebrazioni l'8 marzo, in ricordo
della manifestazione delle donne contro lo zarismo di San Pietroburgo.
In Italia e in altri paesi si fa invece spesso
riferimento ad un rogo del 1911, avvenuto a New York, durante il quale persero
la vita 134 donne. La leggenda narra che avvenne in una fabbrica di camicie
proprio l'8 marzo, ma a seconda dei paesi cambiano le date, il luoghi e il
numero delle vittime.
La ricorrenza è nata però per ricordare le conquiste
sociali e politiche delle donne, per combattere la discriminazione e la
violenza.
In realtà noi donne non vogliamo una festa che ricordi
agli uomini i nostri diritti, che permetta alle casalinghe disperate di poter
uscire di casa con le amiche senza che il marito si infastidisca. Non vogliamo
mimose o mazzi di fiori
Come disse Mary Shelley "la vera libertà delle
donne parte dalla cultura". Noi questa cultura l'abbiamo raggiunta
lottando nei secoli. Studi recenti dimostrano che le ragazze sono le più brave
a scuola, ma che poi il mondo del lavoro le penalizza.
Oggi è soprattutto una giornata di sciopero che si
svolgerà in più di 40 paesi del mondo, partito da Women's March , il movimento
americano che protesta contro il presidente Trump. In America oggi sarà "a
day without a woman" (un giorno senza una donna), una protesta che vuole
dimostrare che cosa vuol dire fare a meno delle donne sul posto del lavoro.
Le donne di oggi vogliono pari diritti e sono stanche
delle discriminazioni. Noi italiane possiamo ritenerci soddisfatte di avere una
piccola quota rosa in Parlamento e che il nostro presidente della camera, Laura
Boldrini, sia una donna. In questo giorno più che mai vogliamo ricordare tutte
le donne meno fortunate di noi, che vivono in paesi che le odiano: in
Afghanistan, in Congo, in Pakistan, in India, in Somalia.
Vogliamo solo giustizia per tutte quelle donne che sono
continuamente vittime di stupri, violenze domestiche, matrimoni forzati in
tenera età, infibulazioni, mutilazioni genitali… alcune donne sono addirittura
obbligate ad abortire quando scoprono di avere in grembo una figlia femmina.
Non è questo il mondo che vogliamo, non è un giorno
dell'anno a noi dedicato a fare la differenza.
All’origini ‘ddo munnu
All’origini ‘ddo munnu
Turnamu arreri, all’ origgini dò munno,
quannu o Signuri, ppì nun fari dannu,
ci vinni’ mmenti na brillanti idea
e’ nzemi a Adamu, criaò macari a Eva.
Raggiu di suli, ppì faricci i capiddi
ppì fari l’occhi si procurò...’ ddu stiddi,
ppì fari a vucca era’ mpocu’ ndecisu
poi ci pinzò.....e ci fici lu surrisu.
Pì fari u restu...., vi putiti’ mmagginari
chi travagghiuni grossu ca app’ a fari!
A sira, stancu mortu s’assittau
ma, mentri arripusava nenti
......
era sicuru nun si scurdava nenti?
L’ ultima cosa..... e forsi a cchiù
‘mpurtanti,
‘ncoppu di manu e ci rituccò la menti
quattru e quattr’ ottu e seduta stanti
la fici cchiù d’Adamu’ ntilliggenti
e poi ci dissi...porta lu munnu avanti
E così fu!
Bavetta Julia
Bonura Marika
Turnamu arreri, all’ origgini dò munno,
quannu o Signuri, ppì nun fari dannu,
ci vinni’ mmenti na brillanti idea
e’ nzemi a Adamu, criaò macari a Eva.
Raggiu di suli, ppì faricci i capiddi
ppì fari l’occhi si procurò...’ ddu stiddi,
ppì fari a vucca era’ mpocu’ ndecisu
poi ci pinzò.....e ci fici lu surrisu.
Pì fari u restu...., vi putiti’ mmagginari
chi travagghiuni grossu ca app’ a fari!
A sira, stancu mortu s’assittau
ma, mentri arripusava nenti
......
era sicuru nun si scurdava nenti?
L’ ultima cosa..... e forsi a cchiù
‘mpurtanti,
‘ncoppu di manu e ci rituccò la menti
quattru e quattr’ ottu e seduta stanti
la fici cchiù d’Adamu’ ntilliggenti
e poi ci dissi...porta lu munnu avanti
E così fu!
Bavetta Julia
Bonura Marika
A Te Donna
Tieni sempre presente che la pelle fra le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si tresformano in anni.
Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e il tuo coraggio non hanno età.
Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza.
Insisti anche se tutti si aspettano che
abbandoni. Non lasciare che si arrugginisca
il ferro che c’è in te.
BAVETTA JULIA
BONURA MARIKA
Iscriviti a:
Post (Atom)