mercoledì 8 marzo 2017

Giuseppe Maria Carmelo Giuffrida

Nasce a Montevago il 26-3-1887. Abbiamo visto, parlando, in altra sede, del fratello Giovanni, come le vicende scolastiche dei due fratelli avessero seguito lo stesso iter, almeno sino alla soglia dell'università, momento in cui si dividono. Peppino infatti si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo, uscendone laureato. A questo proposito, mi piace ricordare come il suo nome, campeggi ancor oggi, in una delle due lapidi bronzee affisse alle colonne del portico dell'università centrale di Palermo, a ricordo di tutti gli studenti dell'ateneo caduti nella guerra 1915-1918.
Di aspetto aitante e gradevole, cosi come ci appare dalle pochissime foto in nostro possesso, era dotato di una forte carica di simpatia e di interesse per tutto ciò che lo portava a contatto con la gente, di cui cercava di conoscere e studiare i problemi. Appassionato di caccia, era dotato di una mira stupenda, almeno a detta di coloro che gli furono compagni di battuta. Partecipò attivamente alla formazione e vita di numerose società sportive che in quegli anni sorsero tanto in paese e nel circondario, che a Palermo. Dopo la laurea, ritornò a Montevago, dove svolgendo il praticandato legale presso lo studio dello zio, Avv. Antonino Di Maria, faceva politica, distinguendosi per acume e capacità dialettica.. Scoppiata la guerra contro 1'Austria-Ungheria del 15-18, avrebbe dovuto far parte, da ufficiale, della Milizia Territoriale, e quindi essere inquadrato in reparti di presidio del territorio metropolitano (retrovie e territorio lontano dal fronte), ma poteva un entusiasta come Peppino, restarsene a fare il territoriale, quando i suoi 4 fratelli erano già tutti ufficiali al fronte ed in prima linea? Ottenne quindi, sul finire del 15, il trasferimento e l'incorporazione come Allievo Ufficiale al 10 bersaglieri di stanza a Palermo, i cui effettivi avrebbero dovuto di li a poco essere inviati al fronte.
Episodio divertente, di questo periodo, tramandato nella memoria dei fratelli, fu il seguente: giunto al reggimento per l'indispensabile addestramento, gli venne affidata il primo giorno una ramazza, con l'ordine di spazzare il cortile !! Ordine normale per una burba ai primi giorni, ma intollerabile per chi voleva letteralmente fiondarsi in prima linea, per cui vivissime proteste del nostro che buttata l'odiata ramazza, dichiarava fieramente « Io son venuto per combattere, non per perdere tempo a ripulire caserme »; morale dell'episodio un soggiorno di un paio di giorni in cella di rigore. Considerato come fesso non fosse, mangiò foglia ed albero in unica soluzione, adeguandosi, pur di raggiungere lo scopo, alla disciplina. In breve, divenuto sottotenente fu inviato a Bologna, e da lì, esaurito il servizio di prima nomina, assegnato al 48 fanteria ed inviato in prima linea. Così, in una lettera inviata nel Gennaio del 1916 alla madre, (lettera salvata e trascritta da mia zia Antonietta); «Finalmente il vostro quinto figlio corre al suo posto di dovere, di fronte al nemico, serenamente per la giustizia e la civiltà, per la resurrezione e l'avvenire luminoso d'Italia. Viva l'Italia. Vostro Peppe».
Assegnato ai Reparti Scudati, (Arditi), fu inviato in una delle zone più roventi del fronte, il Monte San Michele. Autentica anticamera dell'inferno quel monte, sulle cui pendici aperte, feroci e violentissimi attacchi e contrattacchi delle due parti avevano letteralmente arrossato di sangue il terreno, su cui i nostri fanti bersaglieri scrissero pagine eroiche ed indimenticabili. Fu sul San Michele, che, sulla tristemente famosa Cima Quattro, ottenne la sua prima Medaglia (di bronzo) al Valore con la seguente motivazione; — « Comandante di una squadra di reparto scudato, incaricato di disporre cavalli di frisia davanti alla cunetta di una trincea, trovatosi di fronte ad un nucleo nemico apparso di sorpresa, con esemplare sangue freddo, spianò il primo fucile che gli venne alla mano, uccidendo due avversari, di poi ripiegò per ultimo, quando correva il rischiaci essere fatto prigioniero» San Michele 5 - aprile - 1916. 
L'episodio, oltre alla decorazione, gli fruttò da parte dei commilitoni, 1'affettuoso titolo di «Eroe di Cima Quattro».
Accettò di buon grado il titolo, ma raramente indossò la decorazione, sostenendo di essere andato a combattere «non per una ricompensa ma per un IDEA». Un altro episodio che ci mostra quanto fosse vicino ai suoi soldati, e lontano dal fascino delle gerarchie militari, che pur ne ammiravano l'indiscusso coraggio, fu il seguente; in previsione di un contrattacco, comandato della ricognizione di un camminamento scoperto svolgentesi fra un gruppo di trincee, eseguì integralmente l’ammissione sotto il tambureggiante fuoco nemico, ritornando imperturbabile alla base, da un cui osservatorio il generale comandante aveva osservato la manovra. All'invito del superiore, ammirato dal sangue freddo dimostrato, a trattenersi a colazione con lui, rispose secco secco di non poter accettare perché d'abitudine mangiava sempre con i suoi soldati.
A metà del 1917, nel quadro della costituzione in seno all'Armata dei primi REPARTI AUTOBLINDOMITRAGLIATORI, ottenne, su richiesta e su segnalazione dello stesso Comando, di essere assegnato ad un unità. Viene cosi assegnato alla Settima Squadriglia. Da questo momento si perdono in un certo senso le tracce di Peppino, considerato l'andamento estremamente mobile ed a volte caotico del fronte, in quel finire del secondo anno di guerra che culminerà nella disastrosa tragedia di Caporetto, del novembre 1917.
All'incirca attorno ai primi di Novembre, dall'Ufficio Notizie dei militari, giunge a mio padre, allora istruttore di tiro a Brescia, una cartolina che da Peppino come Disperso in combattimento.
Questa la motivazione della MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE che gli venne assegnata: « Comandante di automitragliatrice posta a difesa di un abitato, teneva testa al nemico per tre ore, lottando strenuamente per quanto circondato. Mentre per ordine ricevuto, si ritirava combattendo, ebbe la macchina colpita in pieno da due granate nemiche, e cadde da prode, mortalmente ferito coi suoi mitraglieri » . Polcenigo 6-novembre 1917. Pochi mesi dopo, tanto mio zio Giovanni, che mio padre, visitarono la tomba del fratello, e dei suoi soldati, che trovarono letteralmente ricoperta da fiori portati li dagli abitanti della cittadina. Anche mia zia Antonietta, anni dopo, trovandosi in Veneto per vacanza con i figli, cercò quel piccolo cimitero di guerra, non riuscendo purtroppo a trovarlo essendosi perse negli anni le carte del comune relative all'ubicazione precisa. Come già detto, mia nonna Margherita non volle che la salma fosse traslata in Sicilia, e fu, credo, una decisione sofferta ma giusta. 

Nessun commento:

Posta un commento